La Bibbia, «il nostro libro del cuore»
Il card. Gianfranco Ravasi, fine biblista, per dire quanta strada ci sia ancora da fare per mettere la Bibbia nelle mani dei credenti o per farla diventare «il nostro libro del cuore», come auspicherebbe papa Francesco, è solito fare due riferimenti. Il primo, dal passato, è a uno sdegnato Martin Lutero che notava: «In Italia la Sacra Scrittura è così dimenticata che rarissimamente si trova una Bibbia». L’altro, più recente, che fa giustizia almeno per quanto riguarda la diffusione del testo sacro tra la gente, è al poeta francese Paul Claudel (1868-1955), il quale ironizzava: «I cattolici hanno un grande rispetto per la Bibbia e questo rispetto lo dimostrano standone il più lontano possibile». Ai nostri giorni, mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione, conferma la scarsa familiarità con le Sacre Scritture, che i fedeli ascoltano solo a Messa o in altre celebrazioni liturgiche. È vero, dicono le statistiche, che la Bibbia è il libro più diffuso al mondo, ma è altrettanto vero, commenta Fisichella, «che è anche quello più carico di polvere nelle nostre librerie di casa»…
Benvenute, allora, tutte quelle iniziative pastorali e culturali che cercano di riportare il testo sacro al centro della comunità ecclesiale e nel cuore di ogni singolo credente: edizioni economiche della Bibbia (i più anziani magari ricordano ancora la “Bibbia da 1000 lire” delle Paoline), corsi di formazione, giornate della Parola, serate con lettura integrale di un testo biblico, Festival biblici…
In continuità con la spinta del Vaticano II e della Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione Dei Verbum (1965). E anche col Sinodo dei vescovi del 2008, che Benedetto XVI aveva dedicato alla Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa, sfociato due anni dopo nell’Esortazione apostolica Verbum Domini.
Su questa scia si è inserita la recente iniziativa di papa Francesco, che con la Lettera apostolica Aperuit illis («aprì loro le menti per comprendere le Scritture»: con queste parole l’evangelista Luca 24,45 sintetizza l’incontro del Risorto con i discepoli di Emmaus), ha istituito nella terza domenica del Tempo Ordinario la celebrazione della “Domenica della parola di Dio”. Dando non solo continuità agli insegnamenti del Vaticano II, ma mettendo in atto quanto aveva auspicato a conclusione del Giubileo straordinario della misericordia. Far seguire, cioè, a quella “spiritualità
della misericordia” una maggiore presenza della parola di Dio, che è vita, e di cui deve nutrirsi il popolo cristiano assieme al cibo eucaristico.
La scelta della terza domenica del Tempo Ordinario ha, poi, una duplice sottolineatura. In quella domenica la lettura del Vangelo ci parla dell’inizio del ministero di Gesù che annuncia il regno di Dio. In particolare, poi, quella data si pone tra due significative ricorrenze, la Giornata del dialogo con gli ebrei e la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che danno all’iniziativa di Francesco un grande valore ecumenico e interreligioso. Come altrettanto simbolica è stata la data in cui Francesco ha firmato l’Aperuit illis: 30 settembre 2019, memoria di san Girolamo, grande traduttore e interprete della Bibbia (ripeteva: «L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo»), e inizio delle celebrazioni per i 1.600 anni della sua morte, avvenuta nel 420.
Tra i consigli pratici per vivere bene la “Domenica della parola di Dio”, papa Francesco invita i preti non solo a diffondere maggiormente la Bibbia, ma a valorizzarne la proclamazione nella liturgia. E, soprattutto, a dare grande importanza pastorale all’omelia per aiutare il popolo a riflettere: omelia che non va improvvisata, ma preparata con la massima cura. La parola di Dio, infatti, richiede tanta preghiera, meditazione e studio, per trasformare la conoscenza in vita. Perché «non basta possedere una Bibbia, bisogna leggerla. Non basta leggere la Bibbia, bisogna viverla» (Alleanza Biblica Universale).
don Gino