Dopo quasi un anno di vita “sospesa” e di sfide strazianti per l’emergenza Covid-19, quale lezione cogliere per poter avere quel minimo di lucidità e speranza che permetta di continuare a “tenere botta”, rimboccarsi le maniche e andare avanti? E cosa può insegnarci il Mistero del Natale che ci prepariamo a celebrare? Ma davvero «il nostro Dio è l’Emmanuele, il Dio con noi», o è solo una pia&consolatoria illusione? Forse perché ci dicono tante volte che «siamo in guerra», mi ritorna spesso in mente una scena del celebre film di M. Monicelli, La grande guerra, quando – dopo un pesante attacco militare in una grigia giornata del 1917, anticipatrice di pesanti perdite – il sergente Battiferri grida disperato al cielo: «Ma Cristo! Dove sei?». Col cappellano, ferito e stanco, che lo guarda intensamente e risponde, mesto: «È qua con noi, sergente. Se è vero che ha trentatré anni, è dell’ottantaquattro»…
Fra le tonnellate di parole spese (DPCM, dibattiti televisivi, esperti, tuttologi apocalittici o negazionisti…), in questi lunghi mesi a me sono rimasti impressi – pur se “conditi in varie salse” o proposti con mille varianti – soprattutto due termini: fragilità e solidarietà. E forse stiamo capendo che vanno insieme, sempre: non esiste coscienza di fragilità senza solidarietà e ancor meno si dà autentica solidarietà senza la consapevolezza della propria e altrui fragilità! Per noi cristiani è semplicemente come scoprire l’acqua calda… altrimenti, vuol dire che non abbiamo ancora capito nulla del modo d’essere e di agire del nostro Dio, quale si è manifestato in Cristo Gesù.
La fragilità e la precarietà, il limite, la provvisorietà, la paura… è certo un’amara lezione, faremmo anche con meno! Quanto successo nei mesi scorsi, quanto ancora stiamo vivendo oggi, credo ci possa aiutare a riscoprire la parola umiltà (ci credevamo padroni di tutto, anche dell’humus/terra che calpestiamo quotidianamente… ma abbiamo dovuto bruscamente ricrederci!), il valore del “provvisorio” fatto bene (ci stiamo accorgendo dolorosamente che tutte le “furbate” si pagano…), la responsabilità e l’impegno di ri-cominciare, ri-nascere, ri-sorgere dopo ogni crisi e avversità.
Ma, per fortuna, abbiamo anche potuto toccare con mano che è proprio e solo a partire dalla consapevolezza del proprio limite e fragilità che è possibile sperimentare la solidarietà, la condivisione, la vicinanza, il sapere che siamo tutti sulla stessa barca e che o ci impegniamo a “tenerla a galla” o prima o poi naufraghiamo tutti (come continuamente ci ripetono papa Francesco o il presidente Mattarella…). Certo, ci siamo esercitati anche in quella pazienza-perseveranza e serenità “nonostante tutto” – «Andrà tutto bene» !? – che sostanzialmente (cioè non sempre! perché le paure, gli egoismi, le italiche “furberie” sono poi rigogliosamente rispuntate…) ci ha accompagnato in questi lunghi mesi per cercare di “tamponare l’emergenza” e forse – proprio grazie all’impegno&generosità di tanti e nonostante l’avidità&stupidità di troppi – stiamo faticosamente riuscendoci.
La “ruvida lezione” subita in questi mesi serve allora a me e a noi tutti ancora adesso, nel suo duplice aspetto di fragilità e solidarietà, i due pilastri che – strano ma vero! – abbiamo imparato che ci permettono di “tenere botta” e “tener su la baracca”.
Certamente resta ancora tantissimo da fare, visto che l’oggi e soprattutto il domani non sembra “roseo” per (quasi) nessuno. Ma per noi che ci professiamo cristiani, celebrare un Natale “sobrio” può essere l’occasione – lasciando un po’ da parte l’incarto, il guscio, il contorno… – di riscoprirne la vera sostanza: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi».
Rischiamo davvero di non renderci più conto di cosa voglia dire una tale affermazione: Dio, il tre volte Santo, colui che i Cieli non possono contenere, colui che l’uomo non può vedere e restare in vita, entra nella nostra storia assumendo dell’uomo la sua condizione di fragilità, di limite, di vulnerabilità. L’Immenso, l’Onnipotente nell’infinitamente piccolo e fragile!
Ma è proprio questo il senso profondo del Natale: Dio nei nostri panni! Ecco perché, per cogliere bene il senso del Natale, dopo aver sostato dinanzi al presepe, è necessario allontanarsene un po’ per comprendere che la nascita nella notte non è solo l’occasione per uno sterile sentimentalismo. Quel Bambino, infatti, non è rimasto tale: il Vangelo non tarda a riportare che «cresceva in sapienza, età e grazia, davanti a Dio e agli uomini». Ha una missione da realizzare, che si compirà solo nel mistero della Pasqua.
«II Verbo si è fatto carne…», si è sottomesso a una ben precisa dinamica familiare, che ha conosciuto anch’essa lo smarrimento e l’incomprensione. Ha fatto suo il silenzio e il nascondimento di un insignificante villaggio di Galilea, assaporando gli umori e i dissapori di una comunità. Ha dovuto rivendicare la superiorità del Padre suo nei confronti degli “esperti” e persino dei suoi genitori. Un giorno ha dovuto lasciare il suo habitat e avventurarsi in un percorso che ben presto non gli risparmierà il rifiuto e il fallimento. Ha dovuto misurarsi con l’alternativa seducente e illusoria di colui che continuamente, fino all’ultimo («Se davvero sei il figlio di Dio, scendi dalla croce…»), tenterà di dissociarlo dal Padre suo. Ha avuto bisogno di amici, di uomini e donne con cui confidarsi e presso la cui casa rifugiarsi. Si è fatto mani per alleviare le sofferenze di quanti incrociava sul suo cammino. Si è fatto attenzione e cura verso chi portava sulla sua pelle il marcio della disperazione, dello “scarto” e della sofferenza. Ha conosciuto sulla sua pelle persino l’incomprensione delle folle e pure quella di coloro che aveva chiamato con sé. Ha sperimentato come gli uomini fanno in fretta ad entusiasmarsi e altrettanto a dimenticare ciò che avevano promesso in una “ingasatura” di entusiasmo. Ha persino invocato il conforto di una compagnia nella notte in cui tutto gli stava crollando addosso. Ha conosciuto l’amaro calice del rinnegamento di chi egli stesso aveva accolto tra i suoi amici più cari. Quella sua “avventura umana” iniziata in uno sperduto villaggio di Galilea, termina (ma non sarà così!) fuori dalle mura della città, come l’immondizia, come l’ultimo dei malfattori…
Mistero di fragilità estrema, ma anche di autentica solidarietà, quella che offre fondamento alla nostra speranza, dando senso e robustezza alla nostra fragilità: auguriamoci che possa essere davvero così il Natale che celebriamo.
don Gino & Company